Uomini che odiano le donne: Baratta analizza la violenza

09.01.2016 18:54

 di Camilla Madinelli

 

La sfida più difficile e necessaria per l’uomo moderno? Guardare in faccia e conoscere la propria ombra. Una via sicura, per quanto costellata d’insidie e prove, per guarire dalle paure e tenere lontano la violenza, in particolare quella di genere. Da evitare rimozioni e proiezioni, che poi scoppiano come bombe e ti feriscono, magari mortalmente, quando meno te lo aspetti. Serve coraggio, si sa. Ma all’ombra non si sfugge. Inutile e dannoso far finta di nulla. Meglio accettarla. Così come sarebbe molto meglio abbandonare lo schema delle polarità maschio-femmina e un’opposizione che genera contrasti e spirali di violenza.

È la proposta dello psichiatra e psicanalista Stefano Baratta, 60 anni, che studia da oltre 40 anni la psicologia analitica di Jung. Ha scritto numerosi libri, tra cui I nomi propri dell’Ombra e Scopri chi sei tradotto anche in Francia. Fondatore e presidente dell’associazione Convergenze, Baratta ha dedicato alla violenza di genere il suo ultimo libro, dal titolo L’immaginario della violenza. Sogni, ragioni, terapie (Moretti & Vitali, 2015, pp. 214, 16 euro) che fornisce spunti anche a un convegno sul tema promosso il 6 e 7 novembre (leggi collegata).

Al centro di questo studio - di taglio divulgativo e ricco di contaminazioni tra Oriente e Occidente, razionalità e istinto, con passaggi e citazioni tra mito e cinema, musica (Baratta è un musicista jazz), arte e sport - ci sono le narrazioni di uomini che uccidono le donne e di figli che ammazzano i genitori, con riferimenti a storie di cronaca.

Sull’eterno tema uomo-donna, confronti e scontri di genere che sempre più ai nostri giorni sfociano in casi di inaudita violenza, lancia un’idea nuova: l’archetipo della coppia. «Non vanno più considerati madre e padre, donna e uomo separatamente», dice, «ma uniti in un essere terzo, diverso dai due iniziali, frutto della loro fusione». Sottolinea che potremo costruire un mondo migliore solo «se avremo la volontà di giungere alla conciliazione tra le polarità di cui ognuno di noi è composto. In ognuno di noi esiste infatti una componente maschile e una femminile e dobbiamo ricercare il loro equilibrio. Credo nella conciliazione di tali elementi, intesi come complementari».

Nel libro ci sono storie di rapporti che affondano le radici in terreni insidiosi e paludosi, casi di stupri e incesti, di tensioni che sfociano in omicidi e aggressioni che fanno rabbrividire i più e pesano come macigni nella coscienza collettiva, la quale spesso si nasconde dietro l’idea (fasulla) del raptus, imprevedibile e inconcepibile. Ma la follia non centra, spiega l’autore: «Pensiamo che se una persona arriva a compiere un atto tanto disumano sia squilibrata, ma questo serve soltanto a non assumerci responsabilità. Il raptus non esiste, i segnali di allarme ci sono sempre, anche se noi non li vediamo».

E fin qui, Baratta è in linea con tanti colleghi che curano l’anima e trattano l’inconscio in modo da far emergere i suoi mondi sotterranei. Nel suo libro, però, lo psicanalista traccia nuovi percorsi tanto di studio che terapeutici, indicando chiaramente che la psicologia analitica può e deve aiutare chi ha subito violenza e chi l’ha perpetrata. Documenta anzitutto come i sogni possano fornire allo psicoterapeuta la strada da seguire non solo nel fare diagnosi e prognosi, ma anche nel fornire la terapia. «Le immagini oniriche sono terapeutiche e trasformative, a livello psichico, e attraverso di esse lo specialista può valutare quale percorso di aiuto intraprendere insieme al paziente» dichiara Baratta. In questo modo rafforza e va oltre il pensiero di Jung, secondo il quale i sogni rappresentano una porta aperta verso la rinascita. Ma per un vero rinnovamento, continua, non bisogna trascurare l’incontro con la dimensione del sacro, capace di scardinare tutto e trasformare la persona. «Nei miei pazienti ho riscontrato che dopo questo incontro nulla è più come prima, cambia la prospettiva sulla vita quotidiana e sul mondo», spiega. E precisa: «Il sacro, però, non ha nulla a che vedere con la religione, qualsiasi essa sia. Il sacro è laico, è in noi».

 

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