Un mondo senza padri

19.02.2015 14:40

"La vita sessuale — o, come noi diciamo, la funzione libidica — non compare come qualcosa di compiuto, né continua a svilupparsi a somiglianza di se stessa, ma attraversa una serie di fasi successiva che non si rassomigliano tra loro; si tratta dunque di uno sviluppo che si ripete più volte, come quello del bruco alla farfalla. Il punto di trapasso dello sviluppo è la subordinazione di tutte le pulsioni sessuali parziali al primato dei genitali e con questo l’assoggettamento della sessualità alla funzione riproduttiva"
(Freud, Introduzione alla psicoanalisi)

Si è tenuta il giorno 10 marzo 2002 a Milano la giornata di studio "La relazione d’oggetto madre-figlia" (La relaction d’objet mere-fille), organizzata dalla Scuola freudiana di Psicoanalisi, Scuola che comprende soprattutto psicoanalisti d’orientamento lacaniano.

Ero presente al Convegno e la mia attenzione è stata particolarmente attirata dall’intervento dello psicoanalista Jean-Paul Hiltebrande, francese, sulla "nouvelle alliance".

Che cos’è la nouvelle alliance e perchè questo intervento all’interno de Il lato debole?

La nouvelle alliance è quel legame particolarmente stretto, amicale, attento, ricco di reciprocità e confidenzialità che oggi, nelle nuove famiglie della società occidentale post-moderna, sempre più spesso si osserva tra le madri e le giovani figlie (les fillettes), le adolescenti femmine. Un legame che potremmo definire orizzontale, quasi impensabile nelle generazioni che ci hanno preceduto dove le madri — sovente all’ombra dei padri — erano in qualche modo le garanti e coloro che trasmettevano alle figlie la parola del padre, che ne custodivano la trasmissibilità come una gioia preziosa.

La psicoanalisi — finalmente, a parer mio — inizia ad interrogarsi con sempre maggiore frequenza sull’impatto che gli enormi mutamenti della struttura familiare stanno avendo non solo sulla società in senso lato ma anche sulla costruzione del mondo interno e dell’identità.

La teoria psicoanalitica, così come concepita da Freud, prese spunto da un dato modello familiare: quello della borghesia viennese dei primi Novecento e fine Ottocento. Gli intramontabili casi clinici di Dora, Anna O., il piccolo Hans, tutta la galleria dei personaggi entrati non solo nella storiografia psicoanalitica ma nel nostro stesso bagaglio personale, laddove letteratura e psicoanalisi si mescolano e ci accompagnano nel nostro percorso, tutti questi personaggi appartengono ad un mondo che, per quanto riguarda le organizzazioni sociali, non c’è più.

La triangolazione edipica così chiara ed evidente nelle nostre isteriche viennesi, imprigionate in nuclei familiari agiati e strutturati secondo una verticalità del potere al vertice del quale stava il padre, capo temuto ed indiscusso, non è oggi più così scontata. Se è vera, come molti sostengono, l’universalità del complesso edipico, lo stesso mondo psicoanalitico non può sfuggire all’osservazione di quanto profondamente il tessuto familiare sia mutato.

Il più grande di questi mutamenti, è stato chiamato con la dolente espressione di declino del padre (le declin du nom du pere). Usando terminologie differenti, nei suoi ultimi scritti anche H. Khout, psicoanalista americano che ha inciso profondamente sulla psicoanalisi negli USA, parlò di una radicale e irreversibile rivisitazione del complesso edipico nelle moderne società occidentali, proprio quelle società in cui la costellazione edipica è stata originariamente scoperta ed indagata.

Il mondo sociale occidentale avrebbe così partorito il dramma edipico e, col tempo, i germi della sua stessa fine?

Il più grande mutamento è dunque — e fin qui l’accordo è unanime — il declino dell’autorità dei padri. I padri hanno abdicato, lasciando via via alle madri il campo per così dire libero. I padri sono diventati anch’essi più amici dei loro figli, più intimi e consapevoli. Mentre in passato i legami familiari si basavano sul dovere e su gerarchie prestabile, adesso i legami vanno conquistati, conservati, sono legami d’amore e d’affetto, bisogna che un genitore sappia ‘meritarsi l’amore dei figli, non è più scontato l’inverso. È dunque tutto più sentito, sincero e caloroso, ma enormemente più difficile. I padri che non ce la fanno, finiscono con l’abdicare; all’apparente amicalità con i figli si sostituisce l’indifferenza, la fuga dai conflitti e dalle asperità che un rapporto vivo richiede, il rifugio in altre forme di vita e di rapporto.

Ma le madri restano. Al declino del nome del padre farebbe seguito, quasi per successione naturale, una sorta di ipertrofia del femminile e del materno, terreno di coltura di quella nouvelle alliance che vede protagoniste in primo luogo le giovani figlie femmine (della possibile conseguenza sui maschi non si è parlato, ma certo anch’essa si impone come tema di indagine).

Il padre detiene, nella coppia edipica, le funzioni paternali e le funzioni falliche, tappa necessaria allo sviluppo della psiche matura di un individuo. Il declino del padre è dunque il declino delle funzioni falliche, che lasciano così il campo aperto alle funzioni isolate, orali e anali, libere di sguazzare non più limitate, non più confrontate con l’esito fallico. Pulsioni più arcaiche —secondo lo sviluppo libidico freudiano- come quelle appunto orali e anali non sono sufficientemente mitigate, direi contenute, dal senso del limite, restando così libere di esprimersi con tutta la loro potenza e la loro possibile virulenza.

Qual’è la conseguenza, per la donna, di questo arbitrio delle pulsioni orali e anali isolate?

La clinica ci porta un’ampia casistica, che nella giornata di ieri è stata da più parti ricordata: disturbi del comportamento alimentare, tossicomanie, forme depressive, ma aggiungerei anche (e qui invito a leggere, o rileggere, i precedenti numeri di questa rubrica sul ruolo del Super Io sadico nella donna) tutte le tirannie che le donne, più o meno nascostamente, operano verso se stesse, tutte le forme di automutilazioni fisiche e psichiche che le donne si impongono, tutte le sudditanze masochistiche, tutti i nuovi rituali del martirio femminile.

Ho trovato quest’immagine molto evocativa sul piano dell’immaginario, e con il merito di dire concetti difficili in modo semplice e nel rispetto della teoria, senza scivolare in sociologismi.

Mi chiedo cosa comporta, cosa comporterà il declino del padre non solo sulle donne — tema di queste pagine e del convegno- ma anche sui figli maschi e sulle nuove generazioni, lasciate sole a dover gestire un’eccesso di autonomia in balia a pulsioni regressive.

Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che anche l’istinto di morte — per restare nella metapsicologia dell’ultimo Freud — viene così e essere meno mediato e contenuto, più libero e defuso, con immaginabili conseguenze cliniche sul versante delle tossicomanie, dei suicidi e di tutte le forme di autodistruzioni di cui soprattutto gli adolescenti sono capaci.

La giovane donna sembra la più fragile in questo contesto. Alla carenza di funzioni falliche paterne si associa la nouvelle alliance intima e segreta con la madre, che esclude il padre (e gli altri uomini?) a favore di un femminile chiuso su se stesso, autosufficiente ed autogenerantesi.

Si potrebbe obiettare che le funzioni paterne e falliche possono essere vicariate anche dalla madre e dalla donna, come spesso le nuove famiglie dimostrano, ma sembra mancare, a tutt’oggi, un approfondimento teorico, imparziale e non preconcetto, su questo tema scottante.

Sarà proprio così? L’adattamento della psiche umana sul contesto sociale avrà la meglio, e riusciremo a modicarci senza produrre troppa patologia?

Credo che il dibattito sia aperto, e che è su terreni come questo che la psicoanalisi può giocare le sue nuove carte, proponendo o riproponendo una lettura dello sviluppo libidico umano che tenga conto delle mutate condizioni di vita senza rinunciare al suo compito principe, che resta l’indagine della psiche umana, e che ancor più oggi ha bisogno di evitare i facili idieologismi e le nuove ricette del vivere sano.

 

di ROSSELLA VALDRE'

https://www.psychiatryonline.it/node/3230