Mia figlia, una piccola apocalisse

29.07.2016 16:04

di RAFFAELE ALBERTO VENTURA

 

Genitori moderni: intellettuale trentenne smette di inseguire i sogni di gloria e decide di diventare padre. La carriera è a rischio, ma non c'è da avere paura

Mano a mano che Dalia cresceva nel ventre di sua madre, le cose che fino ad allora mi erano sembrate importanti hanno iniziato a esserlo sempre meno. Finalmente! Finalmente un’occasione, un pretesto, una ragione solidissima per mandare tutto a fare in culo: i sogni di gloria fuori tempo massimo, i passatempi intellettuali spacciati per incarichi di massima importanza, le vane distrazioni per scampare al vuoto dell’esistenza, insomma l’intero edificio dei valori del nostro ceto medio disagiato. Molti di noi dividono la loro vita tra il lavoro “vero” e l’esercizio di una vocazione intellettuale, artistica, sportiva o imprenditoriale; ma cosa succede quando nelle nostre vite irrompe un evento che mette in crisi questo equilibrio precario? Ci costringe a mettere ordine tra le nostre priorità. Era questa una delle ragioni che mi aveva convinto a pianificare il grande passo, cioè a diventare padre: una certa intuizione che fosse giunto il momento di cacciarmi nei guai.

Dalia è nata con un po’ di anticipo, pesa meno di tre chili e non assomiglia assolutamente a un guaio. Come potrebbe? No, di fatto come tutti i bambini è un adorabile fagottino con le fattezze di Winston Churchill. Sua madre riposa in ospedale dopo una performance straordinaria mentre a me — perché è giusto spartirsi il lavoro — non resta altro che riflettere su come cambierà la nostra vita. Ah, già, e devo anche montare la culla. Chi è già stato genitore promette gioia sconfinata e tanta fatica, ma curiosamente il discorso resta sempre vago, a metà tra il biglietto d’auguri prestampato (“goditi questi momenti magici”) e la descrizione di un’esperienza allucinogena. All’osservatore ragionevole il mito della genitorialità sembra nascondere una realtà più prosaica, da compensare con un sovrappiù di pathos. Ideologia pura, certamente, ma in fondo cosa non lo è? Forse la nascita di Dalia segna l’inizio di un’allucinazione, va bene, ma è anche la fine di un’altra.

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