Islam e Occidente. I giovani precipitano in un nuovo buio

14.02.2015 19:35

 

Iniziando La ginestra, Leopardi cita il Vangelo di Giovanni (3, 19): «E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce». Poi si scioglie in sarcasmi sulle aspettative di progresso, sulla ingenuità e frivolezza del suo secolo. Dall’Illuminismo – secolo della luce – e dalla delusione del poeta ne sono passati altri due. Dopo due guerre mondiali e la guerra fredda, gli entusiasmi guerrieri avrebbero dovuto scomparire. Eppure, nuove masse scelgono un nuovo buio.
I martiri della nuova guerra santa sono pronti. Mentre le nazioni che si combattono cercano la vittoria, ma possono tornare ai compromessi politici, nelle guerre sante l’unica alternativa è morire: la religione è un assoluto, non prevede patteggiamenti. Sarà quindi una guerra a morte, concepita ben prima delle convenzioni di Ginevra: guerra ai civili, alle bambine, agli ostaggi. Che non «metterà fine a tutte le guerre» (come si diceva della Grande guerra), ma al contrario metterà inizio a infiniti altri conflitti. Il loro vero martire è la ragionevolezza: la coerenza logica dell’Io — che, nella generosa illusione di Freud, doveva gradualmente svuotare l’inconscio — mentre di nuovo le tenebre lo stanno sopraffacendo. Come nella medievale Crociata dei Fanciulli, questi ingenui della vita hanno ricevuto una visione o hanno udito una chiamata e non si voltano indietro. Partono: persino dalle classi borghesi dei Paesi musulmani laici (Turchia, Tunisia). Persino da famiglie islamiche integrate nel sazio e secolarizzato Occidente. A volte, persino da famiglie cristiane colte, dell’Europa e del Nord America, cui voltano le spalle per convertirsi a un islam fondamentalista e gettarsi in un «eroismo» senza ritorno: i maschi, con armi modernissime; le ragazze, con strumenti antichi come i fornelli e gli uteri, per dare conforto a giovani eroi e sangue nuovo a una impresa che lo versa quotidianamente. È insensato, ma partono.
Non possiamo rispondere che non ci riguardano. Non sono nati dall’islam: sono una risposta al vuoto del nostro Occidente, senza il quale non avrebbero motivo di esistere. Sono giovanissimi e appassionati. Anche se qualcuno è disadattato o trasgressivo, non sono i bulli del quartiere, né vanno alle partite con il coltello in tasca (comportamenti che restano «occidentali»). In gran parte, sono adolescenti che non hanno mai commesso una infrazione: molti sono addirittura studenti modello. Né sono dei disobbedienti Pinocchi che beffano un debole Geppetto: vengono spesso da famiglie solide, dove il padre è tutt’altro che assente. Tutti, obbedienti o trasgressivi, erano alla ricerca di un senso e non lo sapevano: ora hanno trovato un’autorità assoluta in grado di somministrarlo.
Dicono di andare «verso» qualcosa: ma il loro obiettivo appare fumoso tanto all’europeo laico, quanto ai teologi musulmani. Quello che è chiaro, invece, è che vanno «via da». Rifiutano il nostro mondo che, morta per disidratazione la cultura romantica, è diventato troppo pratico: senza passioni, senza assoluti, senza sacrifici e senza trascendenza. Possiamo capirli, anche se cominciamo a non capire quando per loro la morte si trasforma da strumento in scopo ultimo.
La morte e il sacrificio di chi? Questo forse non l’avevano pensato a fondo. Se qualcuno glielo chiedesse su due piedi, borbotterebbero formule quali «gli infedeli», che nella genericità rivelano come l’avversario sia per loro astratto e non umano. Il giovane caduto nel nuovo buio è, proprio come il corrispondente occidentale che disprezza, innamorato dei propri entusiasmi, ubriaco di narcisismo. È convinto di opporsi al nostro materialismo, ma si affida a ricchi finanziatori che gli somministrano armi corrompendo la sua anima, proprio come ai giovani occidentali somministrano la droga; e a raffinati informatici, che mettono in rete filmati delle eroiche gesta jihadiste con l’abilità delle multinazionali pubblicitarie. Soffocano nel nostro materialismo, eppure non hanno appreso nuove vie: non sono stati mai veramente iniziati alla teologia dell’islam. Sono risucchiati verso quello che considerano un mondo di valori, ma è la controfaccia di un potere materialista rivestita da guerra santa disneyana.
Gli opposti che si combattono mortalmente, ma senza consapevolezza, diventano simili, ha detto Jung. Lo ha confermato lo storico Alan Bullock nel saggio Hitler e Stalin. Vite parallele (Garzanti). Per vivere veramente nei valori, ha detto Isaiah Berlin (in un testo del 1994 riproposto dalla «New York Review of Books» del 23 ottobre), bisogna ricomporli ogni giorno col bilancino del farmacista. Libertà e uguaglianza sono fondamenti. Ma la libertà totale porta verso la dittatura del mercato, l’uguaglianza totale verso Stalin. Gli unici miglioramenti nella vita degli uomini si raggiungono realizzando compromessi fra le due. Il problema è che milioni di giovani sono pronti a morire per idee assolute, nessuno a «morire per un compromesso»: che è, aggiungerebbe uno psicoanalista, insipido per il nostro narcisismo.
Inconsciamente o meno, gli estremisti si rinforzano a vicenda. I due palestinesi che hanno fatto strage in sinagoga parlavano di giustizia per i loro fratelli: ma la rivincita che si sono presi è quella individualista dell’adolescente che vuol diventare famoso, scaricando sul loro popolo una ennesima umiliazione.
Prevedibilmente — ma non inevitabilmente — il ritorno a forme di pensiero del passato riappare dall’altra parte: nella reazione dello Stato israeliano, che dopo aver naturalmente reagito con le armi, meno naturalmente estende la rappresaglia ai familiari e demolisce le loro case. In questo modo applica una forma antimoderna di diritto (l’allargamento della responsabilità personale ai familiari corrisponde alla Sippenhaft o kin liability medievale, riattualizzata nella modernità da Stati totalitari). Nella loro inconsapevolezza, i terroristi sono riusciti a «infettare» con la loro regressione il loro avversario: uno Stato che, lo voglia o meno, ha fra le responsabilità quella di rappresentare in Medio Oriente la luce della democrazia e della modernità, non i secoli bui. Come ho ricordato nel testo Paranoia, questa è l’unica malattia mentale altamente infettiva. A differenza dalle altre espressioni di follia, non è solo individuale ma riguarda i gruppi interi, gli amici e i nemici. Contagia la psiche collettiva e può comunicarsi ininterrotta attraverso le generazioni.
 

di Luigi Zoja, Il Corriere della Sera – La lettura, 14 dicembre 2014